«Il 70% degli italiani non capisce quello che legge”, affermava Tullio De Mauro, e probabilmente neanche quello che vota.
Queste le conclusioni di Tullio De Mauro, probabilmente uno dei più grandi linguisti del nostro Paese, che rivestì anche la carica di Ministro della Pubblica Istruzione.
Il linguista affermava, in un’intervista rilasciata a La Cosa nel febbraio 2016, il canale video di Beppe Grillo, uno studio che non lasciava scampo alla scuola e all’università italiana. 8 italiani su 10, dichiarava, hanno difficoltà a utilizzare quello che ricavano da un testo scritto, 7 su 10 hanno difficoltà abbastanza gravi nella comprensione e 5 milioni di italiani hanno completa incapacità di lettura. Un nostro diplomato nella scuola media superiore ha più o meno lo stesso livello di competenza di un ragazzino di 13 anni che esce dalla scuola media: i 5 anni di scuola media superiore girano a vuoto e questo determina un bassissimo livello di quelli che entrano all’università. Il risultato è che i diplomati di scuola media superiore in molti paesi hanno livelli di competenza linguistica, matematica, di comprensione, di calcolo ben superiori a quelli dei nostri laureati. Abbiamo bisogno di un buon livello di istruzione per poter trovare le fonti buone per informarci e per utilizzare bene queste informazioni, per utilizzarle criticamente! Questo sarebbe indispensabile per tutti, per un buon esercizio del voto.
Quindi per il professor De Mauro solo un’istruzione di buon livello consente all’individuo cittadino di poter discernere, fra la miriadi di informazioni che circolano in tv, sulla carta stampata e/o sui social; la capacità di scegliere le informazioni vere al posto di quelle false, magari costruite ad hoc per poter meglio indirizzare l’opinione pubblica o parte di essa, è uno degli strumenti che ci mette a disposizione la cultura. Il senso critico ne guadagna creando le basi per un buon esercizio di voto.
Nei suoi studi il professor De Mauro, aveva cercato di raccogliere dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e l’analfabetismo funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) richiamando l’attenzione dei suoi illustri colleghi sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e, ovviamente, sociali in Italia.
E se l’analfabetismo è oggettivamente un instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni, ed è per questo che solo il 30% degli italiani riesce a capire come funzioni la politica compresi i suoi discorsi, esiste anche una correlazione stretta con l’economia.
Infatti, come hanno spiegato Luigi Spaventa o Tito Boeri, illustri economisti, il grave analfabetismo strumentale e funzionale incide negativamente sulle capacità produttive del paese ed è responsabile del grave ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni novanta”.
E poi arrivò Umberto Eco con il celebre e sarcastico:
Se sei un analfabeta funzionale non capirai questo post.
L’analfabetismo funzionale in Italia è una realtà, non è una definizione spocchiosa dei radical chic nei loro momenti di consapevolezza ultraterrena.
L’Italia è la seconda nazione europea, al pari della Spagna e dopo il primato turco, per numero di analfabeti funzionali o low skilled, pari circa al 47% della popolazione totale (fonte PIAAC-OCSE, Rapporto nazionale sulle competenze degli adulti).
Facciamo una breve panoramica su cosa vuol dire analfabetismo funzionale.
L’analfabetismo funzionale non è da confondersi con quello strutturale. Quest’ultimo infatti è quello che fino a qualche anno fa tutti conoscevamo come l’unica forma di analfabetismo, ovvero quello dipeso dall’interruzione del processo formativo che si palesa come l’incapacità di leggere e scrivere. L’analfabetismo funzionale invece consiste nell’incapacità di comprendere testi semplici, di rielaborare in pensiero critico un concetto sentito al bar, di capire il libretto di istruzioni di uno smartphone, consiste nel credere all’opinione di chiunque prendendola come verità senza sentire la necessità di informarsi sull’argomento, consiste nella mancanza di competenze intellettuali utili per affrontare la vita quotidiana.
In generale la diffusione dell’analfabetismo funzionale deriva da radici politiche e sociali, come il fatto che il 25% della popolazione italiana non abbia alcun titolo di studio. Questo non vuol dire che tutti i diplomati e i laureati siano esenti da questo fenomeno. I low skilled sono in grado di leggere e imparare a memoria, quindi potenzialmente anche di sostenere esami e diplomarsi, o laurearsi. Oltre che dalla mancanza dell’acquisizione di competenze date dalla non scolarizzazione, le persone possono anche subire un processo di retrocessione dovuto all’analfabetismo di ritorno, ovvero non coltivando nel tempo quelle capacità che avevano acquisito precedentemente, tipo smettendo di leggere, informarsi o dedicarsi ad una qualsiasi attività artistica, creativa o che richiede l’elaborazione di un pensiero critico in generale.
Non pensiamo che l’analfabetismo funzionale sia un fenomeno diffusosi negli ultimi 3/4 anni, ovvero il periodo di tempo da cui se ne sta parlando. Semplicemente, grazie ai social, oggi possiamo tutti (tutti noi che non facciamo parte di quel 47%, almeno per la nostra personalissima percezione di noi stessi) essere testimoni di questa grave piaga sociale. Infatti dove c’è – sui social – una discussione sui temi caldi riguardanti la nazione (vedi i vaccini, l’immigrazione, la politica in generale) c’è almeno un commento di un analfabeta funzionale.
Sgrammaticata, disinformata, basata sul titolo di un clickbait di cui non ha nemmeno letto il contenuto, che fa riferimento a quello che gli ha detto il suo amico complottista mentre faceva colazione stamattina al Bar di Ezio sotto casa. Quella per lui è la verità. Perchè non sa distinguere cosa lo sia da cosa no.
Ma il problema non è tanto che lui ci creda fino in fondo, il problema è che ci credano tutti gli altri membri della community degli analfabeti funzionali e che quindi alla fine si diffonda più il loro pensiero che quello degli intellettualmente normodotati, che invece si affidano all’informazione di quelli che hanno le competenze per farla.
Cosa succede quindi? Che la verità sentita al Bar di Ezio acquista la valenza di una verità universalmente riconosciuta perché sostenuta da 30.000 like ed ecco che iniziano le teorie complottiste, i commenti aggressivi e senza h nel verbo avere, il discredito verso i giornalisti che tentano di diffondere cultura e soprattutto la polemica e l’aggressività verso chiunque tenti di esporre un’opinione contraria o chiarire un concetto evidentemente poco chiaro.
In questi ultimi tempi tante volte la riflessione è stata volta a come poter porre rimedio alla diffusione delle opinioni di questo gruppo sociale in ascesa e le soluzioni possibili individuate sono state due:
-arrendersi di fronte alla quantità di tempo libero e alla grandissima volontà di risposta che gli analfabeti funzionali dimostrano di avere sotto ogni post e rassegnarsi a vivere in un mondo di banalità e stereo tipizzazione;
-creare una coalizione che racchiuda l’altro 53% della popolazione o almeno una buona parte di questa percentuale e dare il via ad un sistema organizzato in cui per ogni post di un low skilled ce ne sia uno di un normodotato, per ogni commento sugli immigrati extracomunitari ci sia una storia che ne racconti le necessità, per ogni teoria complottista ci sia una ricerca scientifica a smentirla.
Forse così saranno la ricerca e l’informazione, quelle fondate, ad acquisire like e quindi anche la dignità per essere ritenute la verità. Lottare per la cultura all’epoca dei social vorrà dire anche questo.
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
E poi scopri, rimestando fra le pagine dei social, che di Bar da Ezio ne è pieno, il Belpaese.