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Paese azzurro come marchio di fabbrica.

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Siamo nel 2021 e non nel 1519. Impossibile quindi avere tutto per noi un architetto del calibro di Raffaello che possa progettare, come fece per Leone X, una ricostruzione del borgo antico del paesello a sud est la grande metropoli.

Per riportare in vita il “cadavere”, divenuto oramai fantasma, che nell’immaginario qualcuno vorrebbe farci credere essere un paese azzurro, basterebbero l’eloquio di Baldassarre Castiglione o la perfetta progettazione grafica di Raffaello per far comprendere quanto importante sia la conservazione dei monumenti e quindi della storia se non esistessero orecchie ed occhi e volontà che accettino l’invito?

Che manchi Leone X?

Ad oggi ci appare decisamente difficile se non impossibile che qualche illuminato possa comprendere a pieno cosa significhi ripopolare e rivitalizzare il borgo antico di Casamassima, divenuto nel frattempo vecchio se non fatiscente a meno che non si creda che gli illuminati possano essere rappresentati da quelli che attaccando le farfalline blue al cielo con in mano un pennello, ridipingono di azzurro le facciate delle case.

E non basta pubblicizzare sino alla nausea le “orde” di turisti insoddisfatti e delusi che, parcheggiato il pullman gran turismo in piazza, si addentrano fra quei vicoli, molte volte disabitati, sporchi ed inospitali, dove, a parte qualche eccezione, l’incuria regna sovrana e che non ti abbandona neanche se a guidarti vi fosse la migliore guida turistica del mondo.

Ed è per questo che non riusciamo ancora a capire quale sia l’utilità, con tutto il lavoro che ci sarebbe da fare, se lo si volesse veramente, di avere anche il tempo per depositare un marchio di fabbrica, un brand come lo chiamano gli esterofili, che potesse identificare al mondo intero che quelle quattro facciate di quelle quattro case hanno le pareti tinteggiate di azzurro.

In molte parti del mondo stiamo assistendo, visto che l’abbandono dei borghi antichi non è solo una nostra prerogativa, a politiche che invogliando l’acquisto di case intere al costo simbolico di un euro, con l’obbligo del restauro anche conservativo, incentivano il ripopolamento di quello che la storia identifica come il “centro”, il “fulcro”, la “fondazione” dell’intero paese. Un centro, disabitato per lo più, senza l’attrattiva della piccola bottega d’arte, senza il caffè all’ombra del muro antico o del pasto da consumarsi magari in un sottano recuperato all’abbandono o del negozio di quei giovani che vendono e mostrano la loro arte, come può da solo avere la forza di portare in luce la storia di quel luogo?

Credete bastino quelle pareti azzurre dipinte nel nulla?

Certo il cammino è lungo e lo sarà di più sino a quando le decine di associazioni che insistono sul territorio verranno messe le une contro l’altra alla ricerca di quella che è più compiacente rispetto alle prime nei confronti del politico sovrano del momento che potrà elargire o no gli spiccioli di un bilancio che per la cultura non trova mai sufficienti risorse.

Figuratevi poi se dovessimo parlare di arte.

Cominciamo per prima cosa a pretendere che la politica non parli del “bello” solo in campagna elettorale per spillare qualche voto in più, ma che diventi locomotiva capace di trainare le aspettative ed i sogni dei più che oramai, disincantati dalle mille promesse mai mantenute, affollano altri centri, altri borghi, altri luoghi anche non molto distanti dai nostri.

Cominciamo a mettere in campo la pratica politica che di fronte allo sfacelo del borgo antico si intervenga, anche con la mano pesante, obbligando i proprietari che nel frattempo sono andati in Germania, in Venezuela o ai Caraibi di restaurare quegli immobili o darli in gestione a quelli che qui sono rimasti per valorizzarli portandoli al vecchio splendore. Si studino forme di requisizione coattiva o acquisizione collettiva che possano permettere finalmente quella rinascita che a parole vogliono tutti ma che in pratica rifuggono.

Si arruolino tecnici, studiosi dell’arte, sociologi, urbanisti e tutti coloro che un contributo di idee lo vogliono dare seriamente non certamente con il pennello sporco di azzurro, affinché si metta in moto quel laboratorio con la speranza che diventi la lunga catena di montaggio per una nuova rinascita.

Al tempo stesso si faccia in modo che non ci siano padrini che, invece di ispessire le fila le assottigliano cercando, con molta presunzione e poco costrutto, di costruire intorno alla propria immagine una rappresentazione della realtà non vera.

Pretendiamo che non debba esserci la necessità di fondare comitati per la salvaguardia dei borghi antichi che, una volta scontratisi con la politica capace di grande promesse si accorge di essere rimasto solo a remare sulla barchetta in mezzo ai marosi.

Dovremmo avere la forza di riappropriarci non solo del borgo antico, ma anche delle periferie divenute confini al di là del mondo dove poter finalmente “camminare la terra” che sostiene, non sappiamo ancora per quanto, i nostri passi.

Rompere la gabbia, questa la missione.

(Immagine di copertina tratta da ufficio-brevetti.it)

Ma i sindaci possono sospendere la didattica in presenza a favore di quella a distanza?

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Non bastava l’ordinanza del sindaco di Casamassima che “ordinava”, ma solo per una classe, la messa al bando della didattica in presenza, a favore di quella a distanza.

A questa ordinanza, che appare decisamente opinabile non solo per aver “chiuso” solo una classe, ma per i mille rivoli che comporta la decisione in sé che affronteremo prossimamente, se ne aggiunge un altra controfirmata dal suo collega sindaco di Santeramo in Colle che decide di sospendere tutte le attività scolastiche, in presenza, dalle scuole dell’infanzia sino a quelle secondarie di primo grado passando per la primaria.

Al momento solo ad un interrogativo ci preme avere una risposta: ma i sindaci possono entrare a gamba tesa nelle decisioni che dovrebbero spettare unicamente alle famiglie degli studenti frequentanti le scuole di ogni ordine e grado?

Il compito del sindaco non dovrebbe fermarsi solo alla scelta di “ordinare” la chiusura di una scuola – per intero e non a “pezzetti” – (infanzia-primaria-media) perché con i dati in suo possesso, trattandosi di “luoghi” sotto la sua giurisdizione, potrebbero essere nel caso specifico focolaio di infezione?

Se questo fosse possibile, l’amministrazione statale non potrebbe “risparmiare” gli stipendi mensili per i dirigenti scolastici che organizzano le attività scolastiche non solo per gli studenti, ma anche per i docenti?

Tra poco ci dovremo aspettare ordini di servizio per i tutti i dipendenti della scuola direttamente dai sindaci?

Che la pandemia abbia infettato anche l’autonomia della scuola?

Non si finisce mai di interrogarsi, a questo mondo.

Estratto dell’ordinanza n. 6 del 31 gennaio 2021 del sindaco di Casamassima Giuseppe Nitti

   

L’ordinanza n. 3 del 5 febbraio 2012 del sindaco di Santeramo in Colle Fabrizio Flavio Baldassarre

   

Aggiornamento 6 febbraio 2021 ore 19.23

Non solo il sindaco di Casamassima e quello di Santeramo in Colle “ordinano” la cessazione della didattica in presenza a favore di quella a distanza, ma anche il sindaco di Valenzano.

Estratto dell’ordinanza n. 4 del 4 febbraio 2021 del sindaco di Valenzano Giampaolo Romanazzi

   

L’interrogativo diviene ancor più intrigante.

Le infiltrazioni nella Collodi e nella Dante Alighieri arrivano in consiglio.

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Le interpellanze e le interrogazioni sono gli strumenti attraverso i quali un consigliere comunale, per espletare con onore il proprio mandato, mette in atto per chiedere specificatamente la condotta e / o per sollecitare informazioni circa una data questione.

E ‘inutile dire che alle domande poste dai consiglieri comunali dovrebbero essere dati quasi una risposta immediata al fine di non trascinare le problematiche riscontrate per lungo tempo e considerato che molte volte gli interrogativi posti dai consiglieri sono gli interrogativi che pongono i cittadini attraverso i loro rappresentanti nell’assise comunale bisognerebbe che ci fosse la massima trasparenza.

Visto che ci eravamo già interessati ampiamente sulle infiltrazioni alla scuola Collodi e visto anche i consiglieri Andrea Palmieri ed Agostino Mirizio presentavano interpellanza sullo stesso argomento, dopo aver ascoltato il consiglio del 25 gennaio scorso, abbiamo interpellato il capogruppo del PD Palmieri.

Il consigliere ci fa sapere che il 6 gennaio scorso scriveva all’assessore Annamaria Latrofa :

Sentite le sue dichiarazioni durante il Consiglio comunale del 27 novembre 2020 in cui sosteneva che bisognava procedere all’impermeabilizzazione del solaio della Scuola dell’Infanzia Collodi “non oggetto di intervento dell’ultimo ampliamento”;
Vista la determina n. 455 del 29/12/2020 avente per oggetto l’affidamento alla EdilSistem srl dei lavori di impermeabilizzazione della copertura della parte vecchia – corpo C – della copertura dell’edificio scolastico Scuola dell’Infanzia C. Collodi, per un importo pari a € 19.520 iva compresa;
Considerato che con la Determina n. 373 del 14/10/2019 avente per oggetto la ristrutturazione ed ampliamento della Scuola dell’Infanzia Collodi – Liquidazione Stato Avanzamento Lavori n. 6 – in cui veniva riconosciuto alla EdilSistem srl (Libretto delle misure n. 7 controfirmato dal responsabile del procedimento arch. F. Palazzo), la fornitura e posa in opera di protezione delle stratificazioni o manti impermeabili… una perfetta regola d’arte del Blocco C lastrico solare per mq 475;
Alla luce delle sue dichiarazioni in consiglio comunale e vista la determinazione di affidamento su menzionata del 29/12/2020, si chiede di sapere le ragioni che hanno determinato il nuovo intervento di affidamento sul corpo C della scuola dell’infanzia Collodi.

Interpellanza che riproponeva, vista la mancata risposta, anche nel consiglio del 25 gennaio.

Il consigliere Palmieri, certificava, con questa interrogazione che quanto da noi già rilevato il 30 dicembre scorso ( clicca qui per leggere ) aveva un fondamento.

Ci saremmo aspettati una risposta esaustiva e convincente, ma niente di tutto questo. Nonostante il sindaco Nitti più volte intervenuto dando risposte su svariati argomenti che interessavano le competenze specifiche degli assessori, questa volta ed in alcune interpellanze che apparivano non certo “facili” si “trincerava” dietro l’assenza dell’assessore competente al ramo per “eludere “Le risposte che sono state non compiute.

Nel rammentare al sindaco che certamente non sono le voragine sul tetto che provocano le infiltrazioni e che una striscetta di umidità di 30 o 40 cm” è più che sufficiente, peraltro su una scuola dove i lavori di risanamento sono terminati da qualche mese, quando intende la sua amministrazione, rispondere ai quesiti?

Dall’intero dibattito in aula sull’interpellanza, apprendiamo inoltre, come potrai ascoltare, che il sindaco ripete che quei lavori, nonostante la contabilità dica il contrario , non erano previsti e, cosa più preoccupante, sapendo che bisognava intervenire si è deciso -non si capisce il perché- di farlo dopo che le attività scolastiche erano regolarmente iniziate.

Se si sapeva che bisognava intervenire perché non lo si è fatto a tempo debito?

Ma non solo questa interrogazione non ha trovato ancora risposta.

Il consigliere Palmieri ci dice anche che il 5 gennaio scorso ha protocollato un’altra interrogazione all’assessora Latrofa su infiltrazioni alla Scuola Media Dante Alighieri sede centrale.

Giunge notizia dai genitori degli studenti della Scuola Media Dante Alighieri – sede centrale via Leopardi – che all’interno di più aule siano presenti sulle pareti macchie di muffa e cospicue infiltrazioni di acqua provenienti dal soffitto.
Si chiede di sapere con la massima urgenza quali le determinazioni assunte dal suo ufficio per la risoluzione della problematica riscontrata al fine di assicurare la completa sicurezza ed agibilità delle stesse.
Resto In attesa di sollecito riscontro”.

Vi proponiamo l’interpellanza presentata in consiglio e la risposta parziale del sindaco.

Sembra che una moltitudine di interpellane/interrogazioni giacciano sui tavoli degli assessori e dei funzionari del comune di Casamassima senza che queste abbiano riscontri.

Addirittura apprendiamo che una interrogazione addirittura inoltrata come commissione speciale covid sia in attesa da mesi di essere conclusa.

Che le risposte siano così difficili da rendere le domande non gradite?

(In copertina il solaio della Collodi – corpo C – interessato dai lavori)

Tutto come da copione: Franco Pastore “eletto” presidente.

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Consigliamo i giovani o i giovanissimi che non hanno avuto la “fortuna” di “servire” lo Stato prestando il servizio militare, di farsi un giro istruttivo nell’aula consiliare del comune del paesello quando vanno in scena i consigli comunali.

Per avere un idea, neanche tanto distante dalla realtà, potrebbero apprendere cosa siano i “soldatini” che uniti e compatti, anche di fronte all’evidenza più evidente, marciano compatti nonostante sappiano che si schianteranno sul muro dell’ovvietà.

Quello che meraviglia non è tanto la prevista e certa nomina di Franco Pastore a presidente del consiglio comunale, che anche le pietre sapevano, ma il defenestramento di Salvatore Nacarlo che non sarà più il vice presidente visto che la maggioranza gli ha preferito Marida Lerede.

Burlesca è apparsa poi, l’arrampicata “politica” del Nitti, del Pastore e di tutta la maggioranza di governo cittadino, che ha tentato, non riuscendoci, di convincerci che l’avvicendamento del Valenzano sia stata una cosa del tutto naturale visto che non sono stati gli accordi di coalizione a determinarne le “dimissioni”, ma solo la disponibilità a tempo che lo stesso Valenzano aveva voluto dedicare alla carica ricoperta.

Su una cosa il consigliere Pastore, oggi presidente, ha ragione. I cittadini proprio perché non sono fessi, o almeno quelli che sanno leggere ed ascoltare non lo sono, “capiscono” e interpretano quanto tristi e rozze (politicamente) siano state le dichiarazioni rilasciate dal Valenzano con le sue dimissioni. Ed anche lo stesso Pastore, con quelle dichiarazioni del 30 dicembre scorso, non ha fatto altro che dare certezza che accordo vi è stato sull’avvicendamento della presidenza e che le arrampicate sugli specchi procurano solo un fastidiosissimo sibilo alle orecchie e niente più. E se non bastasse la lettera di dimissioni del Valenzano e il conseguente ringraziamento di Pastore durante il consiglio del 30 dicembre scorso, forse basterebbero le dichiarazioni rilasciate dalla consigliere Marida Lerede durante il consiglio di ieri per dissipare, nonostante la maggioranza granitica e compatta, ogni dubbio.

Non si può andare a insinuare che noi non sapevamo”.

Non potevo scendere le scale e andare in via tale dei tali o in piazza e dire qualcosa in merito a questo quando io già lo sapevo. Era un accordo nostro che sarebbe venuto fuori”.

Consigliere Lerede, lo dica al suo collega di maggioranza Pastore, perché noi lo avevamo capito da tempo.

E a proposito, sempre sul consigliere divenuto presidente Pastore, che ci auguriamo non sia avvicendato sino alla fine del mandato di Nitti, vorremmo sommessamente ricordargli che se a tutti i livelli, dalla Presidenza della Repubblica a quella del Senato passando da quella della Camera o a qualsivoglia altra carica istituzionale, le cariche “vengono imposte” dalla politica, le stesse, almeno nei consessi democratici cui noi siamo abituati ad operare, lo sono solo dopo uno scambio dialettico fra tutte le forze politiche in campo e non come nel vostro caso, attraverso il bilancino di precisione che deve sostenere la vostra maggioranza.

Capiamo che il tentativo maldestro di investire strumentalmente le minoranze sulla scelta del presidente questa volta non è riuscita, visto che la grande coalizione minestrone, civico, aveva già tutto scritto da tempo, ma che si voglia stravolgere completamente la realtà lo troviamo veramente offensivo.

Per concludere, a parte il discorsetto di insediamento già preparato di Pastore (per caso se lo trovava in agenda), senza scomodare la consigliera Marida Lerede nella discesa di scale per andare in via tale dei tali oppure in piazza, potrebbe illuminarci confessando se anche la carica di vice presidenza faceva parte degli accordi “due anni e mezzo” sottoscritti per Valenzano?

Ma Nacarlo, l’eterno esitante, lo sapeva?

Per chi volesse approfondire ancora, (clicca qui) per leggere sia la lettera del dimissionario Valenzano e sia le dichiarazioni di Franco Pastore.

Aggiornamento al 30 gennaio 2021
Dopo le dimissioni di Giuseppe Valenzano e la nomina di Franco Pastore a presidente del consiglio comunale di Casamassima, ci si chiede se esista o meno un accordo all’interno della maggioranza che prevedeva la “staffetta”.
Con gli interventi in consiglio di Andrea Palmieri, Franco Pastore, Giuseppe Capone e Marida Lerede.

 

Casamassima: il presidente del consiglio Valenzano, si è dimesso.

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«Tu hai fatto nella tua dichiarazione di dimissioni, hai fatto due passaggi importantissimi: il primo ritengo importante è quello che hai detto a tutti la verità, e non era scontato, perché in questi casi la politica ci ha insegnato che ci si nasconde spesso dietro le ragioni familiari, personali e quant’altro. Tu invece hai avuto il coraggio e la lealtà di dire come stanno le cose. Avevi assunto un impegno a tempo, avevi dato la disponibilità e l’hai mantenuto. L’altro ringraziamento importante che ti faccio, ed anche questo assolutamente non è scontato in politica, è quello che hai mantenuto fede ad un impegno, ad una parola data e questo assolutamente in politica accade na volta su cento. Sei di esempio a tanti altri. Grazie».

Questa la dichiarazione-ringraziamento espressa dal consigliere di maggioranza Franco Pastore un minuto dopo che il presidente del consiglio, Giuseppe Valenzano, aveva letto la lettera di dimissioni dalla carica (consegnata e protocollata in mattinata) durante il consiglio comunale del 30 dicembre scorso ma comunicata come fosse l’epilogo.

Ma quale la parola data dal Valenzano a cui fa riferimento il Pastore? E cosa vorrà dire mai impegno a tempo? E poi, ancora, cosa nasconde il mantenere fede ad una parola data?

Anche senza aver mai seguito la vita politica del paesello e di questa maggioranza che cerca di governare da quasi tre anni, chiunque si accorgerebbe che queste dichiarazioni aprono scenari non solo da prima repubblica, ma da repubblica primordiale.

Se qualche guru di politica applicata vorrà contraddire la nostra interpretazione, quasi letterale, si faccia avanti.

Sembra che accordi presi ancor prima di eleggere Valenzano a ruolo di presidente di consiglio, non si sa da chi e in che luogo, abbiano deciso che il geometra avrebbe dovuto ricoprire la carica per due anni e mezzo; giusto metà mandato di Nitti sindaco, e poi lasciare il posto vacante a chi, lo immaginiamo ma non anticipiamo niente, siederà su quella poltroncina per i prossimi due anni e mezzo sino ad arrivare a fine mandato.

Tutto lascia immaginare che non solo le cariche assessorili siano state controfirmate come da manuale Cencelli, ma anche e sopratutto una carica di garanzia quale è rappresentata dalla presidenza del consiglio, sia stata “trattata” alla stessa stregua.

Accettabile? Inaccettabile?

Lo lasciamo al giudizio dei lettori e dei cittadini elettori.

Ma se le parole del consigliere Pastore non lasciano spazio all’immaginazione, ci chiediamo quali altri accordi nasconde l’amministrazione Nitti e la sua maggioranza? Quando il prossimo colpo di scena per tenere sveglio lo spettatore che insonnolito continua ad assistere al governo cittadino guidato da Nitti?

E se qualcuno avesse ancora dubbi sull’interpretazione che diamo alle parole di Franco Pastore potrà sempre avere conferma che quanto non immaginiamo lo troviamo trascritto in forma concreta per quanto l’ormai ex presidente Valenzano, verga sulla sua lettera:

«nel pieno ed esclusivo rispetto delle intese politiche raggiunte con la propria maggioranza circa la disponibilità a rivestire il ruolo di presidente del consiglio per un periodo pari a metà mandato amministrativo – due anni e mezzo».

Non sappiamo quanti e chi della maggioranza sappiano di tali intese e quanti, chiamati ad esprimere solo il voto favorevole quando richiesto, ne siano rimasti all’oscuro, certo è che questo episodio politico tracotante e supponente dovrebbe portare a ragionare anche la minoranza consiliare che, una volta dismessi i panni della mongia e della pongia, dovrà dimostrare con i fatti che il rispetto dei cittadini e ancor più delle Istituzioni, è sacro.

Nel frattempo da più parti molti si chiedono se fosse questa la politica nuova di Giuseppi Nitti sbandierata in campagna elettorale con l’apoteosi dei palloncini blue al cielo; se fossero queste le promesse di cambiamento rispetto ai partiti che tutti i candidati “civici”, compreso il sindaco, abbiano sciorinato in quella campagna elettorale, casa per casa, porta per porta che li ha visti impegnati nel lontano 2018. Chissà se qualcuno che ha preferito il cugino o l’amica al vecchio rappresentante rottamato di partito non cominci a ripensare a quella scelta.

Riportiamo la lettera di dimissioni del presidente del consiglio Giuseppe Valenzano e la trascrizione della dichiarazione rilasciata dal consigliere di maggioranza Franco Pastore.

«Come ultimo atto di questo consiglio comunale, vi faccio presente che stamattina ho consegnato, ho protocollato le mie dimissioni:

Oggi 30 dicembre 2020

Oggetto: dimissioni della carica di presidente del consiglio. Leggo:

il sottoscritto, Giuseppe Valenzano, nel pieno ed esclusivo rispetto delle intese politiche raggiunte con la propria maggioranza circa la disponibilità a rivestire il ruolo di presidente del consiglio per un periodo pari a metà mandato amministrativo – due anni e mezzo -, avendo ottenuto nell’assise consiliare i voti necessari per rivestire tale ruolo ed avendolo di fatto ricoperto ininterrottamente per il periodo concordato, nella convinzione di aver svolto il mandato ricevuto con senso di responsabilità e rispetto per le istituzioni, dello statuto comunale e del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale, pur nella consapevolezza di aver ricoperto un ruolo estremamente complesso e delicato in un clima ostile che certamente non ha agevolato l’esercizio sereno delle proprie funzioni, nell’esprimere profonda gratitudine al consiglio comunale per aver riposto fiducia nel sottoscritto sia nell’ambito della votazione che per tutto il periodo in cui ha rivestito tale ruolo.

Per tutto questo sopra detto ed espresso, con la presente nota rassegna le proprie irrevocabili dimissioni dalla carica di presidente del consiglio.

Casamassima 30/12/20. Questo è quanto».

Questo il commiato del consigliere Franco Pastore

«Allora, io ti chiamo ancora presidente, e anch’io sono emozionato per questo momento. Chiaramente ti ringrazio a nome mio e a nome di tutti, e ci tengo, ci tengo, a far presente perché tante volte in questi momenti, presi dall’emozione si perde la lucidità per comprendere le parole che vengono dette. Tu hai fatto nella tua dichiarazione di dimissioni, hai fatto due passaggi importantissimi: il primo ritengo importante è quello che hai detto a tutti la verità, e non era scontato, perché in questi casi la politica ci ha insegnato che ci si nasconde spesso dietro le ragioni familiari, personali e quant’altro. Tu invece hai avuto il coraggio e la lealtà di dire come stanno le cose. Avevi assunto un impegno a tempo, avevi dato la disponibilità e l’hai mantenuto. L’altro ringraziamento importante che ti faccio, ed anche questo assolutamente non è scontato in politica, è quello che hai mantenuto fede ad un impegno, ad una parola data e questo assolutamente in politica accade na volta su cento. Sei di esempio a tanti altri. Grazie».

(In copertina una foto di repertorio – Franco Pastore e le assessore Maria Montanaro e Annamaria Latrofa)

Babushka e i Re Magi (fiaba russa)

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In quella notte invernale, nel villaggio in cui viveva Babushka c’era una grande confusione: tutti erano usciti di casa per guardare il cielo, dove splendeva una stella con una lunga coda, la stella più grande che avessero mai visto.
– Da dov’è venuta? – esclamavano ammirandola stupiti. – Che significa?
Solo Babushka era rimasta in casa, insieme al suo gatto, a occuparsi come al solito delle faccende.
– Quante storie per una semplice stella! – brontolava mentre spazzava e spolverava. – Io non ho mica tempo da perdere!
La casa di Babushka era infatti sempre immacolata e in perfetto ordine.

Toc, toc, toc!” All’improvviso si sentì bussare alla porta.
“Chi mi disturba?”, pensò la donna, correndo ad aprire, ma trovando comunque il tempo per fermarsi un attimo a sistemare i cuscini e a spostare un vaso di fiori.
Con suo grande stupore sull’uscio trovò tre stranieri in lunghe vesti ricamate e con la testa avvolta da turbanti. Erano arrivati in groppa a cammelli, che ora erano legati al cancello del giardino e soffiavano nuvolette di vapore nell’aria fredda e frizzante.
– Buonasera, Babushka – la salutò il primo uomo, tendendo la mano scintillante di anelli incastonati di gemme e facendo tintinnare i bracciali d’oro. – Veniamo da un paese molto lontano e abbiamo bisogno di un letto per la notte. Potresti offrirci ospitalità nella tua casa?
Babushka aveva subito capito che quegli uomini erano ricchi e importanti.
– Certo… ne sarei onorata – farfugliò accogliendo i suoi ospiti nel salottino, mentre si toglieva il grembiule e si lisciava i capelli.
– Che cosa vi ha spinto fin qui? – domandò mentre accendeva il fuoco.
– Stiamo seguendo la strana stella che brilla in cielo – spiegò il secondo uomo.
– Davvero? – rispose Babushka mentre preparava qualcosa da mangiare per i suoi ospiti.
– Noi crediamo che ci condurrà da un nuovo re… il re del cielo e della terra – continuò il terzo uomo.
– Oh! – esclamò Babushka prendendo le tazze per la cioccolata calda.
– Perché non vieni con noi, Babushka? – le propose il primo uomo. – Partiamo domani con i nostri doni: oro, incenso e mirra.
– Vi ringrazio, ma proprio non posso – rispose Babushka. – Se me ne andassi, chi resterebbe qui a occuparsi della casa? E poi non ho niente da regalare a un re!
– Questo re è appena nato – rispose il secondo uomo. – È ancora un bambino piccolo.

Babushka si bloccò con un vassoio pieno di piatti in mano. – Una volta avevo anch’io un bambino – disse con un filo di voce. – Ma poi è morto.
Il terzo uomo si alzò in piedi e le mise con delicatezza una mano sul braccio.
– Vieni con noi – disse dolcemente. – Vieni a vedere il bambino che sarà il salvatore del mondo.
Babushka rifletté. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso triste sulle labbra.
– Magari per questa volta… – mormorò tra sé. Poi, d’un tratto, l’orologio a cucù nell’ingresso ruppe fragorosamente il silenzio.
– Oh, povera me, si è fatto così tardi? – esclamò rimettendosi all’opera. – Devo andare a preparare i letti degli ospiti!
La sera dopo la stella brillava ancora più forte e più alta nel cielo.
– Sei sicura di non voler venire, Babushka? – domandarono i tre uomini montando in groppa ai cammelli.
– Mi piacerebbe molto, ma ho troppo da fare – rispose la donna.
I tre uomini la salutarono con la mano e partirono.

Quando Babushka rientrò in casa si sentì stringere il cuore. Lasciò la scopa in un angolo, i piatti sporchi nel lavello e le briciole sotto il tavolo e andò ad aprire un armadio. Nel guardare gli scaffali davanti a sé trasse un profondo sospiro: erano pieni di giocattoli.
Babushka con aria pensierosa vi fece scorrere la mano sopra rimuovendo uno strato di polvere.
– I giocattoli del mio bambino sarebbero un regalo perfetto per il re appena nato – mormorò.
A Babushka ci volle tutta la notte per lavare, asciugare e lucidare i giocattoli, ma alla fine sembravano nuovi.
Quando i primi raggi di sole filtrarono attraverso le sue finestre, la donna infilò i giocattoli nella borsa della spesa, si mise il cappotto e il foulard, aprì la porta di casa e se la richiuse alle spalle. Quindi imboccò la strada.

Babushka camminò senza sosta tra villaggi, paesi e città. Perse il senso del tempo, ma una notte si accorse che la stella era svanita dal cielo. Qualche giorno dopo giunse nella città di Betlemme.
– Avete visto tre uomini che viaggiano a dorso di cammello in cerca di un bambino? – chiese a un oste del posto.
– Be’, sì, sono passati di qui poco tempo fa: il bambino è nato proprio in quella stalla laggiù – rispose l’oste indicando una capanna dietro la sua locanda. – Non si sono fermati molto! Purtroppo siete arrivata in ritardo: la scorsa settimana, quando i visitatori se ne sono andati, anche il bambino è stato portato via dai suoi genitori.
Babushka guardò la stalla vuota e la sua borsa piena di giocattoli.
“Andrò a cercare il piccolo” decise. “Gli darò i miei regali e gli chiederò di essere anche il mio re”.
Poi si girò e si incamminò a grandi passi decisi…

E Babushka è ancora lì che si aggira per il mondo in cerca del re bambino.
Mentre vaga di casa in casa nessuno la nota, ma quando vede una bambina o un bambino infila una mano nella borsa della spesa e lascia un giocattolo accanto al suo letto.
I bambini, però, trovano i regali di Babushka solo un giorno all’anno: il giorno di Natale, il compleanno di Gesù, il bambino nato nella stalla.

 

Il solaio della Collodi fa acqua.

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Ma come mai si accorgono solo oggi che il solaio della Collodi fa acqua?

In questi due anni li hanno controllati i lavori?

Antefatto.

Come tutti sapranno la Collodi, dopo gli interventi di ristrutturazione ed adeguamenti antisismici, il 17 settembre scorso veniva inaugurata. Alla presenza delle “alte cariche civili, religiose e militari”, in pompa magna, dopo anni di tribolazioni i piccoli studenti potevano tornare finalmente ad occuparne gli spazi...

(L’inaugurazione della Collodi alla presenza del sindaco Nitti e degli assessori Latrofa e Acciani lo scorso 17 settembre – Foto tratta dalla pagina Facebook del sindaco)

Il fatto.

…Ma durante il consiglio comunale del 27 novembre scorso il sindaco Giuseppi Nitti e l’assessore vice sindaco Annamaria Latrofa, dichiaravano che avrebbero prelevato dagli avanzi di amministrazione dei fondi da destinare per completare e/o integrare opere che sono attualmente in lavorazione e che alcune apparivano, parole della vice sindaco, sciatte con carenze progettuali e di lavorazione.

Fra queste ricadeva anche il lastrico solare della Collodi, visto che infiltrazioni di acqua ne compromettono l’utilizzo. E così, visto che l’impermeabilizzazione del lastrico solare non era stata oggetto dell’ultimo adeguamento, si decide di stanziare dei fondi ad hoc.

Ma come? dopo quel battito di cuore, dopo aver guardato la felicità negli occhi di quei bambini, dopo che una squadra seria e forte anche grazie all’intera maggioranza, agli uffici e agli assessori Latrofa e Acciani, ci si accorge che il tetto fa acqua?

Fatto sta che il 30 dicembre, mentre è ancora in “onda” un nuovo consiglio comunale, sull’albo pretorio compare la determina n. 455 con la quale vengono affidati i lavori di impermeabilizzazione della copertura della parte vecchia – corpo C – dell’edificio scolastico Collodi per un importo pari a € 19.520.

Prologo

Andando a spulciare i vari SAL (stato avanzamento lavori) regolarmente contabilizzati e liquidati, però, si scopre con un certo imbarazzo, che durante i lavori di ristrutturazione e di adeguamento antisismico che negli ultimi anni hanno interessato la scuola dell’infanzia Collodi, le impermeabilizzazioni di tutto il lastrico solare sono state immancabilmente eseguite e pagate.

(tratto dal SAL n. 5 del 6 agosto 2019)

(tratto dal SAL n. 6 del 14 ottobre 2019)

Come è facilmente riscontrabile tutto il lastrico solare della Collodi (corpo A, corpo B, corpo E ed infine il corpo C, quello su cui l’assessore Latrofa diceva non essere previsti lavori di impermeabilizzazione, è stato interamente impermeabilizzato. Ricordiamo che il corpo D non esiste in quanto è stato stralciato completamente dai lavori.

Ora, alla luce di ciò ci chiediamo.

Come mai l’assessora Annamaria Latrofa sosteneva durante il consiglio comunale del 27 novembre scorso che si sarebbe provveduto ad effettuare l’opera di impermeabilizzazione di una parte del lastrico solare della Collodi visto che non era stato oggetto dei lavori?

I SAL prima di essere liquidati, sono stati capillarmente controllati?

E nel caso fosse sfuggito il controllo, ci chiediamo ancora, come è possibile che nel giro di un anno si debba rintervenire sull’impermeabilizzazione peraltro già liquidata?

Finalmente la circonvallazione di Casamassima sarà illuminata.

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Finalmente dopo anni ed anni, ma che diciamo anni, dopo decenni, il popolo del paesello a sud est festeggia gaudente l’iniziativa illuminata dell’intera maggioranza e del sindaco Giuseppi Nitti che la guida orgoglioso.

Infatti a tre giorni scarsi dalla fine dell’anno il Nitti pubblica sul suo sacrissimo profilo social la notizia che finalmente la circonvallazione tutta sarà, infine, interamente illuminata con lampadine a led. Basta incontri furtivi, basta intrapicuature sulle buste dell’immondizia e sugli scarti da campagna compresi quelli lasciati dai cagnolini esuberanti. Basta assaporare la pizza al buio scoprendo che quella che stai mangiando non è quella alle quattro stagioni che avevi ordinato ma una banale margherita: basta confondere la moglie con il marito; basta correre al chiaro di Luna che quando non c’è cadi nella buca lasciata lì apposta dai detrattori del sindaco che per fargli dispetto bucano a dismisura tutto il paesello…

E così a breve le tante persone e le tante famiglie che su quella circonvallazione si incontrano per fare sport, potranno correre liberamente in attesa che il campo sportivo sia aperto a tutti e che altri percorsi ginnici siano aperti in qualche futuro prossimo (non si sa quando), parco urbano che non sia la solita villa di via Acquaviva.

Agli innumerevoli denigratori, da cui noi ci dissociamo fermamente ed illuminatamente, vogliamo dire che ci vuole tempo per riparare le buche stradali disseminate nel paesello visto che le decine e decine di buste di asfalto a freddo non bastano; che ci vuole tempo per risolvere l’annosa questione degli allagamenti; che ci vuole tempo per ripulire tutto dai rifiuti lasciati ad imputridire sui vari svincoli; che ci vuole tempo per le inutili strisce pedonali…

Noi, edonisti convinti, applaudiamo a questa meritoria iniziativa del sindaco e dell’intera sua maggioranza che finalmente con le lucine a led e con il centro di raccolta comunale donerà alla circonvallazione nord ovest, sud est ed anche un pochino di nord sud, l’antico splendore che le passate amministrazioni gli avevano scippato. Completare con questa opera luminosa il cammino intrapreso dopo aver valorizzato al meglio le strade centrali del paesello, ci sembra il coronamento di un sogno.

Vi riproponiamo il messaggio del sindaco Nitti che impreziosirà ancora di più il nostro già ben nutrito archivio:

Ma come giusto che sia, vogliamo qui ringraziare non solo Guseppi Nitti, ma la sua intera maggioranza. Ed è per questo che il nostro plauso è indirizzato anche a Franco Pastore, Giuseppe Capone, Salvatore Nacarlo, Michael Barbieri, Michele Azzone, Marida Lerede, Alessio Nitti, Mazzei Vito, Cristiano Marinò e crediamo non si offenda se aggiungiamo a questi speciali ringraziamenti anche Giuseppe Valenzano che con l’impegno profuso accenderanno quelle luci di festa e di speranza.

Per quelli che non hanno perso l’ottimismo ricordiamo che il 2020 terminerà fra:

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In copertina uno scorcio della circonvallazione di Casamassima tratto da Google Maps.

Un anno se ne va… (salutiamolo)

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Il Capodanno è un’innocua istituzione annuale, utile solo come scusa per bevute promiscue, telefonate di amici e stupidi propositi.
(Mark Twain)

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La festa di Natale di Carlo Collodi

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La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.

Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina.

Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l’Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne’ sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La contessa passava molti mesi all’anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de’ suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l’ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:

«Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».

E perché il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d’ovatta: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.

Alberto, il fratello minore, aveva un’altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.

E fra lui e Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella non rispondeva.

«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto. E Pulcinella, zitto! come se non dicessero a lui. «Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella.» E Pulcinella, duro!
«Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso» diceva Alberto un po’ stizzito. E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava. «Ma perché», gridava Alberto arrabbiandosi sempre di più, «ma perché se ti dico »guardami» allora mi guardi; e se ti dico »buon giorno» non mi rispondi?»
E Pulcinella, zitto!

«Brutto dispettoso! Alza subito una gamba!» E Pulcinella alzava una gamba. «Dammi la mano!» E Pulcinella gli dava la mano.

«Ora fammi una bella carezzina!» E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso.
«Ora spalanca tutta la bocca!»

E Pulcinella spalancava una bocca, che pareva un forno.
«Di già che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno.»

Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva lì a bocca aperta, fermo e intontito, come, generalmente parlando, è il vizio di tutti gli omini di legno.

Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare né rispondergli, perché era indispettito con lui. Indispettito!… e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo di lana bianca, una camicina tutta sbrindellata, e un paio di pantaloncini così corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba.

«Povero Pulcinella!», disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente, «se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone… ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio… e con quei quattrini, voglio farti una bella giubba, mezza d’oro e mezza d’argento.»
Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa aveva messo l’uso di regalare a’ suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s’intende bene, de’ loro buoni portamenti. Questi soldi andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello dell’Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di comprarsi qualche cosa di loro genio.

Luigino, com’è naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, e una bella gualdrappa, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.
L’Ada, che aveva una bambola più grande di lei, non vedeva l’ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate per andare alle feste da ballo.
In quanto al desiderio di Alberto, è facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.

Intanto il Natale s’avvicinava, quand’ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c’era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo tremava come una foglia.

«Zio Bernardo, ho fame», disse il bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l’interno della stanza terrena.

Nessuno rispose.

In quella stanza terrena c’era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbaccia rossa, che teneva i gomiti appuntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani.

«Zio Bernardo, ho fame!…», ripeté dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.
«Insomma vuoi finirla?», gridò l’uomo dalla barbaccia rossa. «Lo sai che in casa non c’è un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo!»

E nel dir così, quell’uomo bestiale si levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colpì nel capo.

Allora Luigino, Alberto e l’Ada, commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.
Ma il bambino, prima si toccò con la mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò a mezza voce:

«Grazie… ora non ho più fame…».

Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si finì per dimenticarlo e per non parlarne più.
Alberto, per altro, non se l’era dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi fra il calduccio delle lenzuola:

«Oh come dev’essere cattivo il freddo! Brrr…».

E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte «Oh come dev’esser cattivo il freddo!» si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina.
Pochi giorni dopo accadde che Alberto incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l’ortolana che veniva a vendere le uova fresche alla villa.

«Sor Albertino, buon giorno signoria», disse la Rosa: «quanto tempo è che non è passato dalla casa dell’Orco?»
«Chi è l’Orco?» «Noi si chiama con questo soprannome quell’uomo dalla barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.» «O il suo bambino che fa?»

«Povera creatura, che vuol che faccia?… È rimasto senza babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo…»
«Che dev’essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non è vero?», soggiunse Alberto.

«Pur troppo! Meno male che domani parte per l’America… e forse non ritornerà più.» «E il nipotino lo porta con sé?»

«Nossignore: quel povero figliuolo l’ho preso con me, e lo terrò come se fosse mio». «Brava Rosa.»

«A dir la verità, gli volevo fare un po’ di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo… ma ora sono corta a quattrini. Se Dio mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.»

Alberto stette un po’ soprappensiero, poi disse:
«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui, alla villa: ho bisogno di vederti.»

«Non dubiti.»

Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammentato: il giorno, cioè, in cui celebravasi solennemente la rottura de’ tre salvadanai.

Luigino trovò nel suo salvadanaio dieci lire: l’Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.

«Il tuo salvadanaio», gli disse la mamma, «è stato più povero degli altri due: e sai perché? perché in quest’anno tu hai avuto poca voglia di studiare.»

«La voglia di studiare l’ho avuta», replicò Alberto, «ma bastava che mi mettessi a studiare, perché la voglia mi passasse subito.»
«Speriamo che quest’altr’anno non ti accada lo stesso» soggiunse la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a dire: «Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi è padronissimo di fare quell’uso che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello poi, di voialtri, che saprà farne l’uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.»

»Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti e alla bella gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.

»Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé l’Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva ordinato al calzolaio per la sua bambola.

»Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella.

Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa, gridava:

«Sor Alberto! sor Alberto!».

Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so: ma so che quella buona donna, nell’andarsene, ripeté più volte: «Sor Albertino, lo creda a me: lei ha fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua famiglia!».

Otto giorni passarono presto: e dopo otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.

Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli: «Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo».

Luigino uscì dalla sala e ritornò quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di finimenti così ricchi, e d’una gualdrappa così sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani.

«Non c’è che dire», osservò la mamma, sempre sorridente «quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto… il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.»
«No, no», gridò il ragazzetto, turbandosi leggermente, «prima di me, tocca all’Ada.»

E l’Ada, senza farsi pregare, uscì dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l’ultimo figurino.

«Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo!», disse l’Ada compiacendosi di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua bambola.

«Quelle scarpine sono un amore!», replicò la mamma. «Peccato però che debbano calzare i piedi d’una bambina fatta di cenci e di stucco, e che non saprà mai ballare!»
«E ora, Alberto, vediamo un po’ come tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.»
«Ecco… io volevo… ossia, avevo pensato di fare… ossia, credevo… ma poi ho creduto meglio… e così oramai l’affare è fatto e non se ne parli più.»

«Ma che cosa hai fatto?» «Non ho fatto nulla.»

«Sicché avrai sempre in tasca i danari?» «Ce li dovrei avere…»

«Li hai forse perduti?»

«No.»
«E, allora, come li hai tu spesi?»

«Non me ne ricordo più.»

In questo mentre si sentì bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse: «È permesso?.»

«Avanti.»

Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.

«È tuo, Rosa, codesto bambino?», domandò la Contessa.
«Ora è lo stesso che sia mio, perché l’ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.»

«E chi è quest’angelo di benefattore?», chiese la Contessa.

L’ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:

«Eccolo là.»

Albertino diventò rosso come una ciliegia: poi rivolgendosi impermalito alla Rosa, cominciò a gridare:

«Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!…».
«La scusi: che c’è forse da vergognarsi per aver fatto una bell’opera di carità come la sua?»

«Chiacchierona! chiacchierona! chiacchierona!», ripeté Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fuggì via dalla sala.

La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.

Carlo Collodi

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